mercoledì 12 marzo 2014

LA "PASSIONE" DI ANDERSON: 40 ANNI (E OLTRE...) DI "A PASSION PLAY"

E pensare che nacque tutto da un equivoco... All'indomani della pubblicazione del masterpiece "Aqualung" (1971), furono in molti a considerare il disco come una sorta di concept-album, trovando un filo conduttore che legasse tra di loro tutti i brani. Ian Anderson, che da parte sua non aveva previsto in nessun modo una simile interpretazione, colse la palla al balzo e, per irridere i critici, con il successivo "Thick As A Brick" non si limitò a registrare solo un disco che fosse un vero concept, ma lo portò agli estremi: un unico lunghissimo brano (43 minuti!!), suddiviso all'epoca in due parti – una per facciata- per sole esigenze "pratiche", che metteva in musica un poema scritto da un fantomatico ragazzo prodigio, tale Gerald Bostock. Premiato da pubblico e classifiche, Anderson provò a ripetere l'esperimento nel '73 con il pretenzioso "A Passion Play" ma, come si suol dire, uno scherzo è bello finchè dura poco e stavolta il gioco non funzionò del tutto: ennesimo successo di pubblico (n° 1 negli Stati Uniti), venne invece stroncato dalla critica. Particolarmente aspra fu la recensione di Chris Welch apparsa sulla rivista Melody Maker ( "...Music must touch the soul. "A Passion Play" rattles with emptiness...") e i Tull reagirono annunciando il proprio scioglimento, salvo rettificare poco dopo. Evidentemente agli (allora) ragazzi, nonostante tutto, non era venuta meno la voglia di scherzare. Ma, preamboli a parte, com'è il disco? Strutturato, sulla falsariga del predecessore, come un solo lungo brano, ha la particolarità di essere intervallato da un breve intermezzo parlato ("The Story Of The Hare Who Lost Its Spectacles") dal tipico humour inglese, in pieno stile Monty Python. Per il resto , il lavoro amplifica tutti i difetti che potevano trovarsi "in fieri" già in "Thick As A Brick", portandoli all'eccesso: un susseguirsi di movimenti musicali che, per quanto pregevoli dal punto di vista strumentale, rendono l'ascolto dell'opera dall'inizio alla fine un vero "tour de force" fatto di passaggi slegati tra di loro e senza un apparente filo logico. La lettura dei testi, criptici a dir poco, non è di aiuto e lascia l'ascoltatore nella più totale confusione. Fatti i conti, se è vero che non tutte le ciambelle riescono col buco, qui non c'è nemmeno la ciambella, ma solo il buco (nell'acqua).

2 commenti:

  1. Black Humor & Bard Folk Rock e chi ne ha più ne metta. :-) Tutto sommato piacevole.

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  2. Non è così malvagio. E' un disco strano, tutto sommato affascinante nei suoi deliri ;)

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